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Lamezia Terme - É consuetudine oramai da ben vent’anni commemorare ogni 27 gennaio il giorno della Memoria, perché il ricordo funga da testimonianza e da monito per le generazioni future, affinché quell’errore dell’Olocausto non venga mai più ripetuto. E proprio in occasione della giornata della Memoria l’Istituto comprensivo di Sant’Eufemia ha voluto presentare al pubblico un progetto di vera e propria ricerca sul quale i ragazzi delle quinte classi A, B e C, della scuola primaria hanno lavorato per ricostruire, attraverso testimonianze, diari, lettere e fotografie, le storie di alcuni internati del nostro territorio. Perché celebrare la giornata della memoria non sia solo mera commemorazione, ma testimonianza tangibile di un passato doloroso e possa creare in qualche modo nei ragazzi un senso di appartenenza con il territorio.
“Per trattare questa tematica abbiamo scelto un approccio laboratoriale - ha detto la dirigente scolastica Fiorella Careri, sostenitrice di un’idea di scuola attiva, spiegando il lungo lavoro di reperimento di materiale di approfondimento fatto da docenti e studenti - la vera storia si studia sui documenti, solo così i ragazzi possono sviluppare un pensiero critico”. Formare gli studenti ad avere consapevolezza del passato è oggi un’urgenza sempre più impellente, a spiegarlo è stata la professoressa Maria Grazia Ruberto, referente del progetto: “Si respira ancora un clima di odio razziale preoccupante, - ha detto alludendo alle scritte antisemite apparse negli ultimi giorni sulle porte di casa di alcuni ebrei e agli episodi di minaccia nei confronti della senatrice Liliana Segre - perciò sentiamo oggi più che mai l’esigenza di educare i nostri ragazzi.”

memoria 20201 ac072La raccolta dei documenti, molti dei quali inediti, è stata possibile grazie alla cooperazione di alcuni storici locali, del professore Italo Leone e al coinvolgimento di alcuni abitanti del territorio. Il lavoro, partito da un’indagine sul valore commemorativo e simbolico delle Pietre d’Inciampo è confluito poi nella realizzazione di un testo multimediale documentale e due e-book che racchiudono le storie di tre Internati Militari Italiani, cittadini della zona, che all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, identificati come traditori dai militari tedeschi, furono deportati nei campi di concentramento: Vincenzo Sirianni, Francesco Graziano, Antonio Bruni. Dalle letture di alcune lettere indirizzate ai parenti e di alcuni passi dei diari di prigionia degli internati, ne è venuto fuori un racconto agghiacciante al limite dell’umana sopportazione. La descrizione dei morsi della fame, delle violenze subite dai militari nazisti, del freddo e delle pessime condizioni delle prigioni è risultato il denominatore comune di questi scritti che hanno lasciato tutti i presenti emotivamente provati. L’alimentazione era a base di brodaglia mista a fango, per sopperire alla fame insopportabile i detenuti mangiavano animali uccisi sul momento: lumache, rane, insetti. A completare il lavoro di ricostruzione, sono stati poi gli interventi dei figli di questi uomini, che hanno riportato la storia appresa attraverso il racconto diretto dei propri genitori.
memoria bruni 20202 9e043La professoressa Enza Sirianni ha raccontato la storia del padre Vincenzo. Maggiore di sette fratelli, aveva deciso di arruolarsi nell’esercito; fu deportato nel ’43 in un campo di prigionia in Germania nel quale era costretto a lavorare per costruire le componenti di aerei da guerra. “Ricordo, - ha detto la professoressa con la voce commossa - che mio padre diceva che gli era andata bene a fare quel lavoro, perchè aveva sentito dire che in altri campi di prigionia i detenuti erano costretti a costruire forni crematori”. Il dottore Vincenzo Graziano ha ricordato la storia del padre Francesco. Quando seppe la notizia della sua nascita, il padre era detenuto, venne avvisato dalla moglie per corrispondenza. In uno dei passi del suo diario di prigionia, unico confidente di quella lunga agonia al quale consegnava il racconto della fame e il perenne stato di pessima salute in cui viveva, è possibile scorgere una profonda riflessione di cui fare tesoro: “Queste cose le scrivo non per me, - si legge in quelle pagine - ma perché un giorno le leggano i miei figli e si sappiano regolare.” In una lettera al Presidente della Repubblica, il figlio Vincenzo ha richiesto un riconoscimento per tutti quei soldati che hanno rischiato la vita, ma che si sono poi ricongiunti con le proprie famiglie: “a loro non è stato mai riconosciuto il giusto merito - ha spiegato - su un milione di deportati militari seicentomila sono tornati vivi, quattrocento mila, invece, non hanno mai fatto ritorno a casa.”

L’ultimo intervento è stato quello della neuroscienziata Amalia Bruni, figlia di Antonio Bruni. Per uno scherzo beffardo del destino Antonio arrivò in caserma l’ 8 settembre 1943 e venne immediatamente fatto prigioniero e deportato a Przemysl, in Polonia e poi trasferito a Kustrin. “Era voluto andare lo stesso a difendere la patria - ha spiegato la figlia - anche quando le notizie dell’armistizio erano quasi certe”. Per salvarsi da quei campi di detenzione maturò l’idea di aderire alla Repubblica di Salò, fingendosi fascista anche contro i suoi principi morali, tant’è che a guerra finita fu dichiarato inidoneo al fascismo e si avventurò da Rovigo a Roma in bicicletta tanta era la voglia di ritornare a casa. É stata una scoperta abbastanza recente per la dottoressa Bruni il diario di prigionia del padre: ritenuto documento prezioso, viene trascritto dal professor Masi e da Antonio Bruni ottantottenne, che per l’occasione decide di imparare anche ad utilizzare il computer. Diventerà poi la tesi di dottorato del professore Giuseppe Ferraro intitolata “Dai Campi di prigionia nazisti a Salò. Diario di Antonio Bruni”. I ragazzi hanno inframezzato le varie letture a dei piacevoli interventi musicali. A chiudere la serata, moderata dalla giornalista Maria Scaramuzzino, il sindaco Paolo Mascaro che si è complimentato con gli studenti per l’attenzione dedicata al progetto.

Dora Coscarelli
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